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IL FATTO
  

IL BATTESIMO
  
 
La notte fra martedì 9 e mercoledì 10 giugno 1998, alle ore 01,45 della notte veniamo svegliati telefonicamente e ci viene comunicato dal Col. Paolo Plazzotta comandante della Caserma Feruglio dove il nostro unico figlio Roberto di 19 anni e mezzo presta servizio, e senza alcun preambolo ci comunica: è successa una disgrazia,_vostro figlio è morto insieme ad altri tre commilitoni. Veniamo altresì invitati a presentarci in caserma, in Friuli per il dovuto RICONOSCIMENTO; invitandoci specificatamente a presentarci in caserma per poi essere accompagnati da lui stesso presso l'Obitorio dell'Ospedale di Gemona.

Mercoledì 10 giugno alle ore 12 circa, dopo aver noleggiato due auto, con nostri amici e parenti, arriviamo in caserma in contemporanea con Antonio Lombardo, padre dell'alpino Giovanni di anni 22, uno dei quattro deceduti, proveniente da Taranto. Gli altri genitori: Angelo Cordori padre dell'alpino Andrea di Parma era già arrivato alle ore 08,30 e già congedato, e Ermes Bergonzini, padre dell'alpino Mirco arrivato alle ore 09,30 anch'egli già congedato (per congedati, intendiamo già rimandati frettolosamente a casa).

Quindi a tutti è stato riservato il medesimo trattamento: fra abbracci, strette di mano e condoglianze, ci viene comunicato che il RICONOSCIMENTO è già stato fatto da ufficiali della caserma che nulla hanno da spartire con noi genitori comunque presenti, si è quindi trattato solo di un atto arbitrario senza alcuna delega che denota solo arroganza e tracotanza; ma a loro dire, solo per evitarci lo strazio di vedere i nostri figli a pezzi ( è stata solo una vile menzogna), rincarando che comunque erano già chiusi nelle bare (anche ciò si rivelò una menzogna) e come se tutto ciò non bastasse sostennero anche che essendo i corpi sotto Autorità Giudiziaria non era possibile neanche vedere le bare (ennesima menzogna fra le tante menzogne, Vergogna!).

E' in questa occasione che il ten. Claudio Licitra, comandante la Compagnia di nostro figlio, ci comunica che egli stesso ha curato la ricomposizione e di averlo personalmente rivestito con la Sua amata uniforme; anche ciò si rivelerà una menzogna, ma lo scopriremo solo in seguito. Ci viene consegnato il Suo borsone con le insegne dell'Esercito Italiano, contenente solo i Suoi effetti personali portati da casa, ma mancanti vari capi di vestiario personale civile, nonché qualsiasi capo di tipo militare del proprio corredo che gli era appartenuto (quasi un esproprio proletario, o meglio un furto in piena regola).

Questo è quanto in questa prima parte è stato riservato a tutti noi, genitori dei quattro militari deceduti sebbene arrivati da tutta Italia, ci fu negata la possibilità di vedere per un ultimo estremo saluto i nostri figli e per il rituale riconoscimento.

A nessuno fu permesso di vedere i propri figli; fummo scippati di questo diritto a causa dell'arroganza e della prepotenza di chi abusa del proprio potere, specie se armato.

In seconda istanza, rimandati a casa con la menzogna, facendoci credere di non sapere quando l'Autorità Giudiziaria avrebbe concesso il nulla osta per i funerali militari, ci fu impedito, forse per la prima volta nella storia della nostra Repubblica di partecipare a questa cerimonia, o addio della caserma, come il Gen. Marinelli volle chiamarla cercando di minimizzare l'enorme sopruso commesso nei nostri riguardi; cerimonia svoltasi all'interno della stessa caserma Feruglio ed esattamente nell'ampio cortile dove il 22 novembre 1997, con noi presenti, nostro figlio giurava fedeltà alla Patria.
Solo che questa volta nessuno di noi fu ammesso, anzi fummo letteralmente cacciati. Scoprimmo dopo 17 mesi da una testimonianza di Angelo Cordori, che egli fu scortato da un mezzo militare fino all'autostrada affinché non si recasse all'Obitorio di Gemona.
Giovedì 11 giugno 98, alle ore 16,30 attendiamo presso l'ingresso del Cimitero milanese di Chiaravalle la bara di colui che forse è nostro figlio; ed assistiamo così ad un'ulteriore scena di oltraggio e di vergogna, ma anche ciò lo realizziamo solo in seguito; al momento, dolore e lacrime non ci fanno connettere.

Giovedì 11 giugno 98, alle ore 16,30 attendiamo presso l'ingresso del Cimitero milanese di Chiaravalle la bara di colui che forse è nostro figlio; ed assistiamo così ad un'ulteriore scena di oltraggio e di vergogna, ma anche ciò lo realizziamo solo in seguito; al momento, dolore e lacrime non ci fanno connettere.

Si presenta infatti un volgarissimo furgoncino Hyundai del tipo "vanette" targato AT576HZ di colore bianco completamente chiuso, usato di norma per il trasporto delle merci dai mercati, rigorosamente accompagnato da una Scorta militare nelle persona del Cappellano don Carmelo Giaccone (poco dopo per rimorso congedatosi) che viaggia su vettura dell'Esercito Italiano e con autista militare a seguito.
Il furgone contiene due bare avvolte nel Tricolore e con sopra appoggiati due cappelli d'Alpino. Una di esse viene scaricata, con il dubbio che fosse quella di nostro figlio, l'altra prosegue il viaggio verso Modena: forse è quella dell'Alpino Mirco Bergonzini.





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